Diversi studi scientifici associano il consumo di caffè a un effetto positivo nei confronti di malattie croniche, quali diabete, malattie cardiovascolari e neurodegenerative. Secondo il Consorzio Promozione Caffè, infatti, nel corso degli ultimi 20 anni, un numero crescente di questi studi si sono focalizzati sul ruolo di questa bevanda anche nei confronti del più grande organo del corpo, il fegato, leggasi il lavoro Coffee and liver health. Journal of Clinical Gastroenterology.
L’Institute for Scientific Information on Coffee (ISIC, www.coffeeandhealth.org), spiega il consorzio in una nota, segnala uno studio del 2014 – Association of Coffee Intake with Reduced Incidence of Liver Cancer and Death from Chronic Liver Disease in the US Multiethnic Cohort, Gastroenterology – che ha valutato l’effetto del consumo di caffè sulla riduzione del rischio di epatocarcinoma (HCC) e della malattia epatica cronica (CLD), su un campione di oltre 162.000 individui.
Le evidenze mostrerebbero un’associazione tra consumo di caffè e riduzione del rischio di epatocarcinoma e di malattia epatica cronica. Rispetto ai non bevitori, gli individui che avevano assunto 2-3 tazzine di caffè al giorno avrebbero mostrato il 38% di probabilità in meno di sviluppare l’epatocarcinoma e del 46% di probabilità in meno di sviluppare la malattia epatica cronica; tali valori salirebbero rispettivamente al 41% e al 71% aumentando il consumo di tazzine di caffè a 4 o più al giorno.
I meccanismi di azione attraverso i quali il caffè eserciterebbe effetti positivi sul fegato non sono pienamente compresi ad oggi, ma gli studi indicherebbero che il consumo di questa bevanda è in grado di ridurre l’accumulo di grasso e il deposito di collagene nel fegato.
Per la Società italiana di Scienza dell’Alimentazione (Sisa), un consumo regolare di caffè sembra aiutare a prevenire i danni provocati al fegato dall’abuso di alcool e dal fumo di sigaretta oltre che migliorare i test di funzionalità epatica e prevenire le cirrosi, alcoliche e non-alcoliche. Molti sono infatti gli studi epidemiologici che da anni hanno evidenziato una correlazione inversa, non solo fra consumo regolare di caffè e cirrosi epatica, ma anche fra caffè e rischio di calcolosi biliare, in quanto il caffè stimola lo svuotamento della colecisti: quest’ultimo effetto sembra essere dose-dipendente, ma sembra anche scomparire se si superano i 300 mg/die di caffeina.
I due nuovi lavori riportati, prosegue la Sisa, non fanno che confermare questo quadro, anche se l’aumento dell’effetto favorevole all’aumentare delle tazzine consumate va enunciato con cautela e sottoposto a verifica sperimentale.
“Sempre in tema dei rapporti fra caffè e fegato sarà utile ricordare i risultati di qualche altra ricerca piuttosto recente: una metanalisi pubblicata nel 2013 su Gastroenterology dalla quale pure emergeva una relazione inversamente proporzionale fra consumo di caffè e rischio di sviluppare un tumore epatico, effetto che sarebbe legato alla azione dei diterpeni cafestolo e kawheolo e delle melanoidine; una rassegna sistematica pubblicata nel 2014 su Liver Int., secondo la quale il consumo di caffè migliora i livelli ematici delle transaminasi in modo dose-dipendente, rallenta la progressione della cirrosi negli epatopazienti cronici, migliora la risposta alla terapia antivirale nella epatite C cronica ed è correlato in maniera inversa alla severità della steatoepatite in pazienti con steatosi epatica non-alcolica. E’ sintomatico, infine, il modo nel quale questi ultimi Autori (Saab, Mallam, Cox e Tong) concludono, senza mezzi termini, la loro relazione: ‘nei pazienti con malattie croniche del fegato il consumo quotidiano di caffè andrebbe incoraggiato’”.