Secondo uno studio condotto da ricercatori italiani della Scuola Superiore Sant’Anna e dell’Università di Pisa, con il coordinamento di Laura Ercoli, docente di Agronomia e Coltivazioni Erbacee, la coltivazione di mais transgenico presenta produzioni superiori, contribuisce a ridurre la presenza di insetti dannosi e contiene percentuali inferiori di sostanze tossiche che contaminano gli alimenti e i mangimi animali.
I risultati sono stati pubblicati su “Scientific Reports”.
L’indagine prende in considerazione 21 anni di coltivazione mondiale, tra il 1996 – anno di inizio della coltivazione del mais transgenico – e il 2016 e raccoglie i risultati di ricerche condotte in pieno campo negli Stati Uniti, in Europa, Sud America, Asia, Africa e Australia, e paragona le varietà transgeniche con le parentali non transgeniche. Dimostra, spiegano dall’Unipi, che il mais transgenico è notevolmente più produttivo (5,6-24,5%), non ha effetto sugli organismi non-target (cioè non bersagli della modificazione genetica), tranne la naturale diminuzione del “Braconide parassitoide” dell’insetto dannoso target “Ostrinia nubilalis” e contiene concentrazioni minori di micotossine (-28,8%) e fumonisine (-30,6%) nella granella, ovvero nei chicchi del mais.
Per arrivare ai risultati sono state applicate moderne tecniche matematico-statistiche di meta-analisi su risultati provenienti da studi indipendenti, per trarre conclusioni più forti rispetto a quelle ottenute da ogni singolo studio. La meta-analisi si è basata su 11.699 osservazioni che riguardano le produzioni, la qualità della granella (incluso il contenuto in micotossine), l’effetto sugli insetti target e non-target, i cicli biogeochimici come contenuto di lignina negli stocchi e nelle foglie, perdite di peso della biomassa, emissione di CO2 dal suolo.
La European Court of Justice di recente aveva sentenziato che, a meno di una “evidenza significativa” sul serio rischio alla salute umana, animale e ambientale portato dalla coltivazione di piante geneticamente modificate, gli Stati Membri non possono adottare misure d’emergenza per proibirne l’uso. Lo studio dimostrerebbe che, dopo ventuno anni di coltivazione del mais transgenico in tutto il mondo, non esiste alcuna “evidenza significativa” di rischi alla saluta umana, animale o ambientale. Al contrario, i dati della meta-analisi indicano con chiarezza la diminuzione delle micotossine e fumonisine, sostanze contaminanti contenute negli alimenti e nei mangimi e responsabili di fenomeni di tossicità acuta e cronica. La diminuzione di tali sostanze nella granella del mais transgenico, impiegata in alimenti per l’uomo e per gli animali, può avere effetti molto significativi per la salute umana.
Gli autori – Elisa Pellegrino, Stefano Bedini, Marco Nuti, Laura Ercoli – sottolineano che lo studio ha riguardato esclusivamente l’elaborazione rigorosa dei dati scientifici e non l’interpretazione “politica” dei medesimi e ritengono che “questa analisi fornisca una sintesi efficace su un problema specifico molto discusso pubblicamente”, sintesi che “permette di trarre conclusioni univoche aiutando ad aumentare la fiducia del pubblico nei confronti del cibo prodotto con piante geneticamente modificate”.
Per l’Associazione Luca Coscioni si tratta di un lavoro che sistematizza quanto prodotto negli anni da decine di ricercatori e che conferma la non pericolosità degli organismi geneticamente migliorati e che va nella direzione opposta di quanto deciso da tutti i governi italiani da 20 anni a questa parte.
Di diversa opinione Coldiretti, che ripropone gli esiti di una indagine Coldiretti/Ixe’ nella quale si evidenzia che quasi 7 cittadini su 10 (69 per cento) considerano gli alimenti con organismi geneticamente modificati (Ogm) meno salutari di quelli tradizionali mentre l’81% non mangerebbe mai carne e latte proveniente da animali clonati o modificati geneticamente.
Mentre continua il dibattito scientifico, i pareri dei cittadini – rileva la Coldiretti – restano fortemente diffidenti agli organismi geneticamente modificati nel piatto in Italia ed anche in Europa. Lo dimostra il fatto che sono rimasti solo due Paesi a seminare ogm nel Vecchio Continente dove si registra un ulteriore calo della superficie coltivata del 4,3% secondo l’analisi Infogm. La superficie europea coltivata a transgenico nel 2017 – sottolinea la Coldiretti – risulta, infatti, pari ad appena 130.571 ettari rispetto ai 136.338 dell’anno precedente, con le colture biotech che sopravvivono nell’Unione Europea solo in Spagna e Portogallo, dove tuttavia si registra una riduzione delle semine del mais MON810, l’unico coltivato. Anche Repubblica Ceca e Slovacchia – continua Coldiretti – hanno infatti abbandonato la coltivazione e si sono aggiunte alla lunga lista di Paesi «Ogm free» dell’Unione Europea. Le scelte degli agricoltori europei sono la dimostrazione concreta – evidenzia la Coldiretti – della mancanza di convenienza nella coltivazione Ogm nonostante le proprietà miracolistiche propagandate dalle multinazionali che ne detengono i diritti. “Per l’Italia gli organismi geneticamente modificati in agricoltura non pongono solo seri problemi di sicurezza ambientale, ma soprattutto perseguono un modello di sviluppo che è il grande alleato dell’omologazione e il grande nemico del Made in Italy” ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.