Amblekodi sta per … canapa tessile!

Amblekodi sta per … canapa tessile!
Amblekodi sta per … canapa tessile!

“Amblekodi e’ una parola fantastica, inventata da Ines, piccolissima, per esprimere gioia, soddisfazione e stupore di fronte ad ogni piccola scoperta.” E’ una fiaba, o una storia fantastica? Stiamo per imbatterci in un personaggio alla Momo, tanto per citarne uno? No. “Il progetto Amblekodi, intende riscoprire, in chiave produttiva, una pianta antica, versatile e ambientalmente utile come la Cannabis Sativa.” Droga! Ancora una volta no. “Questa tipologia di Cannabis, comunemente conosciuta come Canapa Tessile, e’ un efficace convertitore fotosintetico di anidride carbonica in ossigeno e, nel suo ciclo di crescita, non richiede l’uso di concimi, pesticidi e diserbanti. Le sue radici profonde migliorano le qualità’ organolettiche del terreno arricchendolo d’azoto.”

E uno dei settori nei quali si può utilizzare con profitto, filosofico, produttivo e non, è quello tessile. “I tessuti in fibra di canapa sono freschi e traspiranti in estate, caldi e confortevoli in inverno. Sono anallergici, antibatterici, antistatici, non irritano la pelle, non conducono energia elettrica e proteggono dai raggi solari UV.”
E’ un progetto nato in provincia di Ferrara, a Copparo, area storicamente dedita alla coltivazione della canapa, per dare vita, artigianalmente, a biancheria d’arredo e accessori in pura canapa, prediligendo canapa italiana e materiali di origine organica, acquistabili on line sul sito dedicato.

Occhio alla storia
“Agli inizi del Novecento l’Italia rappresentava la seconda nazione al mondo per la quantita’ di canapa tessile prodotta ed era preceduta dalla sola Russia. A quell’epoca, nel nostro Paese gli ettari destinati a tale coltura ammontavano ad oltre 79.000 con un rendimento annuo che sfiorava gli 800.000 quintali. Nel 1914 la provincia di Ferrara produceva 363.000 quintali di canapa, contro i 157.000 della provincia di Caserta, i 145.000 della provincia di Bologna e gli 89.000 del napoletano. Negli anni a seguire, in tutto il territorio nazionale vi fu una progressiva riduzione della superficie coltivata a canapa e, conseguentemente, della fibra prodotta: si passo’ cosi’ da un massimo di 85.000 ettari coltivati, con una produzione complessiva di un milione di quintali, ai 1.860 ettari del 1969 con soli 21.000 quintali di prodotto fino ad arrivare, nel 1970, ad un minimo di 899 ettari con un rendimento di appena 10.000 quintali. La crisi della canapa, gia’ iniziata nel 1958 con la scomparsa totale della produzione in val Padana, completo’ la sua fase nel 1964 quando anche la Campania, ultima regione che ancora tentava di contrastare l’inesorabile recessione, fu costretta a desistere. Ne consegui’ che mentre questo evento non rappresento’ difficolta’ insormontabili per i grossi agricoltori che passarono rapidamente a colture diverse, costitui’ invece un autentico dramma per i lavoratori artigiani del settore. In Italia nel 1933 furono emanati provvedimenti e costituiti i Consorzi provinciali obbligatori per la difesa della canapicoltura, che, dopo vicissitudini varie, si concentrarono, a partire dal 1953, nel Consorzio Nazionale Produttori Canapa. A nulla valsero imponenti manifestazioni di canapicultori e convegni sulla canapicoltura. La coltivazione della canapa venne abbandonata per lasciare posto, nel mercato, alle emergenti fibre sintetiche, resistenti, poco costose, e facili da ottenere ed alle innovative colture frutticole. A partire dagli anni Sessanta, dunque, nel nostro Paese l’interesse per la canapa tessile, e’ venuto a mancare ma adesso l’argomento sembra poter tornare d’attualita’. Il suo rilancio valorizzerebbe una cultura agronomica e colturale solo assopita, offrendo agli agricoltori la possibilita’ di integrare il reddito e di beneficiare di un premio di coltivazione al quale non hanno mai avuto la possibilita’ di accesso fin dal 1980. Offrirebbe inoltre nuove opportunita’ ai contoterzisti per la completa possibilita’ di meccanizzazione di ogni singola fase colturale, favorirebbe la riduzione dei costi di importazione legati alla fibra cellulosica per usi cartari che attualmente ammontano a 4.000 miliardi all’anno, stimolerebbe l’industria ad essa collegata ed in particolare quella tessile, oggigiorno in fase di rilancio europeo, vista la richiesta di tessuti a vocazione ecologica. Perche’ allora non ripristinare la coltivazione della canapa? L’eccessivo garantismo, perfetto sulla carta, ma molto meno nei fatti sta di fatto impedendo all’agricoltura italiana di percorrere vie alternative in grado di portare occupazione e reddito. Negli ultimi anni la campagna ferrarese ha affrontato tutte le problematiche legate alla frutticoltura e alla bieticoltura e ne ha conosciuto i limiti dovuti alle avversita’ atmosferiche, all’instabilita’ dei mercati ed ai fenomeni patologici dei terreni e delle piante, ultimo il “colpo di fuoco batterico”, ma tutto cio’ non le ha impedito di conservare inalterate le storiche ed invidiate qualita’ pedologiche e climatiche, ideali per la coltivazione di pregiata canapa. Dalla sua lavorazione, oltre ai prodotti cartari ottenibili dal canapulo ed ai prodotti tessili ottenibili dalla fibra, e’ possibile ricavare olii alimentari e margarine, prodotti tecnici per vernici, mastici, detergenti, lubrificanti, saponi, materiali da costruzione quali pannelli truciolari, fibre di cemento, pannelli isolanti, riempitivi inerti, lettiere per allevamenti di cavalli, polli, tacchini, animali da laboratorio ed altro ancora.

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