Le energie rinnovabili hanno un impatto molto modesto sui terreni agricoli italiani e ancor più esiguo rispetto all’intero territorio e, se adeguatamente progettate con una pianificazione consapevole, potrebbero integrarsi in maniera vantaggiosa. Lo dimostra, dati alla mano, lo studio presentato da Althesys, in collaborazione con European Climate Foundation, dal titolo “Paesaggio e rinnovabili, una convivenza possibile. Opportunità e sfide per lo sviluppo sostenibile del territorio”,che offreglistrumenti per analizzare con numeri e dati la compatibilità della tutela del paesaggio con i benefici della diffusione delle rinnovabili in vista degli obiettivi di riduzione del 53% delle emissioni al 2030.
All’incontro, che si è tenuto il 5 dicembre presso la sede del GSE (Gestore dei Servizi Energetici), sono intervenuti tra gli altri: Paolo Arrigoni, presidente GSE, Massimiliano Atelli, presidente della commissione VIA-VAS MASE, Emanuele Merlino, capo segreteria tecnica del ministro della Cultura, Filippo De Rossi, dipartimento di Architettura Università Federico II di Napoli, Stefania Charisiadou, Unit Nature Conservation DG Environment, European Commission, Matteo Leonardi, direttore ECCO, Alessandra Scognamiglio, Enea e AIAS, Simone Togni, presidente ANEV, Mariagrazia Midulla, responsabile clima ed energia WWF, Edoardo De Luca, direttore Elettricità Futura, Costanza Pratesi, responsabile paesaggio e patrimonio FAI, Katiuscia Eroe, responsabile energia Legambiente e Attilio Piattelli, Coordinamento Free.
“Dalla ricerca – sottolinea Alessandro Marangoni, che ha guidatoil team di ricerca – emerge con chiarezza che non esiste una reale contraddizione tra gli obiettivi della transizione energetica e la legittima salvaguardia di un diritto costituzionale come la tutela del paesaggio. La vera domanda è quali possono essere le migliori soluzioni per armonizzare le rinnovabili nel territorio, a partire dalle aree dismesse e dall’agrivoltaico che garantiscono un ridotto impatto”.
L’occupazione del suolo
Dai dati della ricerca emerge che attualmente l’impronta di fotovoltaico ed eolico a terra utilizza una area solo dello 0,15% della superficie agricola utilizzata a livello nazionale, o lo 0,11% della superficie agricola totale, che comprende anche quella non utilizzata.Nel 2023, per una potenza disponibile di 9 GW di fotovoltaico a terra, la quota sul totale si fermava al 30%, con un uso del suolo di 167 km2. Al 2035 si prevede una capacità raddoppiata a 20 GW e un’incidenza sui suoli agricoli prevista in 283 km2 (+116 km2). L’impronta si riduce ulteriormente grazie all’agrivoltaico (stimati in 393 km2 in più al 2035 per 1.310 km2 disuperfici), che offre l’integrazione tra produzione energetica e uso agricolo con un risparmio di almeno il 70% delle superfici su cui insiste.
Non c’è neppure la presunta “invasione” dell’eolico che dispone in Italia oggi di 12,3 GW di capacità a terra, e 0,03 GW a mare, con un uso di suolo di soli 18 km2. L’eolico a terra – che ha una stima di espansione di 1,4 volte – continuerà ad avere un’occupazione minima di suolo ma un fabbisogno specifico di superfici superiore alle altre fonti dovuto alle grandi distanze tra le turbine. Tra dieci anni si stimano 30 GW (+17 GW) e 44 km2 di suolo (+26 km2) e 3.489 km2di superfici necessarie. Lo sviluppo delle rinnovabili elettriche, tuttavia, richiederà investimenti anche in reti e accumuli, che necessitano di altro spazio. Per le batterie di grande dimensione si prevede, comunque, un uso di suolo molto contenuto.
I processi decisionali e le opportunità (specie per il Sud)
Quando si parla di installare pannelli fotovoltaici nei campi o pale eoliche sui crinali della montagna, ci si imbatte soprattutto nelle paure dei residenti di quei territori che vedono cambiare il paesaggio, e affrontano tutto questo senza disporre di adeguate informazioni sulle opportunità che ne deriverebbero: anzitutto economiche, ma non solo, che contribuiscono a migliorare la qualità della vita delle comunità locali.
Per valutare un progetto nel tempo, occorre favorire la trasparenza e il coinvolgimento con canali informativi dedicati, con la possibilità di scelta da parte di residenti attraverso consultazioni pubbliche in grado di garantire maggiore accettabilità e partecipazione. Per migliorare l’accettabilità di questi progetti è necessario disporre anche di strumenti in grado di offrire benefici tangibili e quantificabili. Tra questi, ad esempio, si possono destinare risorse provenienti da fondi ambientali o da meccanismi di scambio di permessi di inquinamento (ETS) per mitigare gli eventuali impatti delle rinnovabili sul paesaggio. Un’ipotesi di questo tipo fu fatta dall’attuale Governo con una proposta di legge che inizialmente prevedeva 10 €/kW per nuovi impianti a carico del costruttore con l’aggiunta di fondi da ETS per compensare le Regioni, ma che successivamente venne stralciata. Si potrebbe pensare oggi a compensazioni da ETS da destinare direttamente ai Comuni. Ma altre potrebbero essere le soluzioni, come ad esempio il ricorso al crowdfunding, che prevede una raccolta fondi dedicata da parte di cittadini, chiamati a sostenere la transizione energetica potendo trarne al contempo benefici economici. Dal punto di vista dell’occupazione e dei benefici reali per l’economia locale, un’altra voce rilevante potrebbe essere quella dedicata a programmi di formazione per l’imprenditoria e il mercato del lavoro delle aree coinvolte.
Uno dei principali benefici delle rinnovabili è anche la possibilità di ridurre i costi energetici per famiglie e imprese, anche grazie all’autoproduzione. La sostituzione della produzione da combustibili fossili con quella rinnovabile favorirà una riduzione dei prezzi zonali dell’energia elettrica: con la riforma del mercato elettrico, questa riduzione si tradurrà principalmente in un alleggerimento della componente energia (che nel 2023 è stata in media il 60% dei costi per le imprese) per i consumatori nelle regioni a maggiore penetrazione di rinnovabili.
La transizione energetica riequilibra la generazione rinnovabile, finora concentrata al Nord grazie all’idroelettrico, verso il Sud, dove solare ed eolico hanno il potenziale più elevato. Se ben gestita, spiega lo studio, questa trasformazione renderà il sistema più equo e competitivo.
Tra i nuovi strumenti che stanno contribuendo a favorire l’accettazione degli impianti da parte dei cittadini, ci sono le comunità energetiche rinnovabili, che sono un modello innovativo per condividere l’energia prodotta localmente e che promuove processi partecipativi che danno voce ai residenti per le scelte progettuali meglio integrate nel paesaggio e nel patrimonio edilizio.
Le rinnovabili generano benefici anche sull’occupazione, specie durante la costruzione degli impianti, ma anche il loro esercizio e manutenzione portano la crescita di un rilevante indotto.
La transizione energetica offre opportunità soprattutto in termini di rigenerazione in aree urbane o rurali marginali o degradate (70.000 ettari, fonte CREA). Cave dismesse, siti industriali abbandonati, terreni inquinati o da bonificare sono altre opportunità per installare impianti fotovoltaici ed eolici. Questo approccio non solo evita la sottrazione di suolo coltivabile, ma aumenta le superfici effettivamente usate per l’agricoltura.
Una pianificazione consapevole
Lo scenario al 2035 dello studio immagina un settore elettrico completamente decarbonizzato, alimentato solo da fonti rinnovabili e sostenuto da reti intelligenti e risorse di flessibilità come accumuli, idrogeno e gestione della domanda. La domanda sarà soddisfatta da un mix di produzione interna, principalmente eolica e fotovoltaica. È necessario trovare il giusto bilanciamento tra grandi impianti e produzione diffusa, considerato che nel 2023 il totale degli impianti solari utility scale (oltre il MW) è circa il 30% del totale mentre la gran parte è residenziale-commerciale di piccola taglia. L’analisi evidenzia la necessità ricorrere agli impianti a terra per ragioni economiche. Nei prossimi anni si prevede una maggiore entrata in esercizio di questi impianti in misura maggiore rispetto al passato, andando a ribaltare il rapporto 40-60% tra terra e non a terra.
Se una critica diffusa alle rinnovabili è quella dell’impatto sul paesaggio, va ricordato che tutte le attività umane influenzano l’ambiente e i problemi derivanti dalle soluzioni energetiche tradizionali, come gas e petrolio, sono molto più impattanti. La prosecuzione dello status quo, basato su gasdotti, raffinerie, centrali termoelettriche, etc. comporta rilevanti impatti sul territorio, sul clima, sull’efficienza e sulla sicurezza. Le rinnovabili sono oggi le tecnologie più avanzate ed efficienti disponibili. La transizione, dunque, non risponde solo a obiettivi climatici, ma mira anche all’efficienza, all’innovazione e al progresso tecnologico.
Con una pianificazione consapevole, una distribuzione diffusa e una progettazione rispettosa, le rinnovabili possono integrarsi nel territorio in modo sostenibile e vantaggioso. Ecco perché è necessario un approccio che punti a progetti che rispondano all’urgenza climatica senza compromettere la qualità del paesaggio, privilegiando aree a basso impatto, come zone industriali dismesse, tetti, parcheggi e cave abbandonate.