Il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti ha tenuto un discorso in Aula alla Camera in vista della Cop 21, che avrà luogo a Parigi dal 30 novembre all’11 dicembre, nel quale ha ricordato gli impegni assunti dai paesi europei: tagliare entro il 2030 di almeno il 40% le emissioni rispetto al 1990, di elevare fino al 27% la produzione di energia da fonti rinnovabili, di incrementare del 27% l’efficienza energetica.
Tra i passaggi più rilevanti segnaliamo anche l’individuazione dell’esigenza di “un meccanismo di governance che ci permetta ciclicamente di poter misurare dove siamo, che cosa abbiamo fatto e anche di rivedere in modo più ambizioso gli obiettivi che ci siamo dati, proprio perché dobbiamo restare ai 2 gradi, ma, grazie allo sviluppo della tecnologia e grazie allo sviluppo di Paesi che oggi sono in via di industrializzazione e che domani saranno industrializzati, sarà possibile anche migliorare quell’obiettivo dei 2 gradi che ad oggi ci siamo dati”.
Parrebbero buone le premesse, se si pensa che “i contributi nazionali alla riduzione delle emissioni che nella COP di Lima si stabilì dovessero essere presentati prima di Parigi, sono stati presentati ad oggi da oltre 160 paesi, coprendo il 93% delle emissioni globali.”
“Questo è un dato senza precedenti – rileva il ministro – e per la lotta ai cambiamenti climatici assolutamente straordinario, il vero segnale della inversione di tendenza e della assunzione della consapevolezza politica che è necessario un impegno da parte di tutti.
Infatti, l’unico illustre precedente – il Protocollo di Kyoto – riguarda paesi che attualmente emettono il 12% dei gas serra globali, riflettendo di fatto una geografia “emissiva” che non tiene conto della realtà di oggi e del peso delle economie emergenti.”
Di seguito il discorso integrale.
Signor Presidente, On.li Senatori, On.li Deputati,
desidero innanzitutto formulare il mio vivo ringraziamento per l’opportunità che mi viene concessa. Opportunità che mi permetterà di fornire un approfondito aggiornamento sullo stato dei negoziati per la conclusione di un accordo internazionale sui cambiamenti climatici e sulle prospettive della Conferenza di Parigi sul clima.
1. La COP
Nei giorni dal 30 Novembre all’11 Dicembre 2015, si svolgerà a Parigi la 21° Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro per la lotta contro i cambiamenti climatici (da cui l’acronimo COP), che prevede anche l’ultima sessione dell’ADP (Hoc Durban Platform) ovvero il gruppo negoziale a cui è affidato il compito di preparare l’Accordo di Parigi, attraverso il quale si dovrà istituire un regime per la lotta ai cambiamenti climatici con impegni da parte di tutti i Paesi, anche se con differenziazioni, modalità e tempistiche specifiche.
La Conferenza di Parigi rappresenta quindi un’opportunità storica per adottare un accordo internazionale, applicabile a tutti e quindi realmente universale, finalizzato a regolare le emissioni di gas ad effetto serra individuate ormai con certezza dalla scienza come i maggiori responsabili dell’aumento della temperatura del pianeta.
Nell’ambito del negoziato che fino ad oggi è stato condotto per elaborare l’Accordo di Parigi, l’Unione Europea si è sempre espressa e continuerà ad esprimersi con un’unica voce e in essa si riflettono la posizione e gli obbiettivi dell’Italia per questa Conferenza.
Il mandato negoziale dell’Unione Europea per la Conferenza di Parigi è stato concordato sotto forte impulso dell’Italia nel corso della nostra presidenza dell’Unione Europea e adottato con le Conclusioni del Consiglio Europeo dell’ottobre 2014.
Anche per questo il nostro Paese a Parigi può e deve giocare un ruolo di primo piano.
I capi di stato e di governo europei hanno assunto l’impegno ambizioso:
– tagliare entro il 2030 di almeno il 40% le emissioni rispetto al 1990 (ricordo che quasi tutti gli altri contributi nazionali prendono come riferimento il 2005, cioè tagliano di fatto molto meno),
– di elevare fino al 27% la produzione di energia da fonti rinnovabili
– di incrementare del 27% l’efficienza energetica.
Le recenti Conclusioni del Consiglio Ambiente, adottate lo scorso 18 settembre, contengono gli aspetti tecnici di dettaglio che invece dovranno essere contenuti nel testo dell’Accordo per ciascuna tematica, secondo le linee guida del mandato negoziale.
Nell’ambito del lungo negoziato preparatorio alla Conferenza, l’Italia è sempre stata presente e continua a lavorare attraverso gli esperti del nostro ministero, in tutti gruppi tecnici negoziali europei, contribuendo in maniera costruttiva alla definizione della posizione europea in tutti i suoi dettagli.
Nei numerosi contesti internazionali, anche a livello informale, nei quali abbiamo partecipato, l’Italia ha in particolare spinto l’Unione europea a costruire le proprie posizioni negoziali per un accordo che sia fondato su basi che consentano la più ampia partecipazione possibile, superando le limitazioni del Protocollo di Kyoto , che ricordo oggi pesa in termini di emissioni solo per il 12%.
Vogliamo un accordo inclusivo, dinamico, allargato, dove tutti i Paesi possano partecipare e si assumano le proprie responsabilità, che saranno comuni, certamente differenziate, ma basate sulle circostanze nazionali.
Un accordo che abbia un sistema di Governance robusta e chiara, che non consenta passi indietro, ma al contrario che ci obblighi ad una revisione ciclica solo al rialzo.
Un accordo dove tutte le Parti siano in grado di rendicontare e riportare sugli sforzi fatti, per misurare collettivamente dove siamo. In tal senso l’Italia si è fatta promotrice di una proposta specifica sulla costruzione delle capacità dei paesi in via di sviluppo per un robusto sistema di rendicontazione e verifica.
Una proposta che oggi è dentro la bozza di testo dell’accordo di Parigi.
Mi preme sottolineare che anche grazie all’Italia, dunque, l’Europa si presenta forte degli impegni assunti al suo interno che sono i più elevati al mondo, non paragonabili con quelli delle altre grandi economie, dimostrando ancora una volta di avere leadership in un tema tanto delicato quanto strategico per il futuro della nostra società.
2. Questioni da risolvere
I nodi negoziali ancora aperti sono molti, e riguardano per la gran parte argomenti che già avuto modo di citare in passato in altre occasioni:
– Come inserire l’obiettivo di lungo termine (già concordato a Cancún nel 2010), di mantenere la temperatura al di sotto dei 2°C al 2100 rispetto ai livelli pre-industriali, ovvero se utilizzare un linguaggio che indentifichi una specifica traiettoria da oggi al 2100 con tappe di riduzione ben precise, o piuttosto dare una semplice indicazione qualitativa dell’urgenza di intraprendere un percorso verso la neutralità carbonica. L’Italia con l’Unione europea si impegnerà a far prevalere la prima ipotesi e non solo, chiederemo di considerare l’inserimento di una valutazione dell’opportunità di scendere ben aldi sotto dei due gradi.
– come indicare gli aspetti di mitigazione, ovvero
– il tipo di impegni (politiche, misure, strategia nazionali che poi, una volta approvati collettivamente a Parigi, diverranno vincolanti),
– la presentazione ciclica di nuovi e più ambiziosi impegni (secondo tempistiche di 5 o 10 anni),
– le regole di trasparenza per calcolare e verificare i risultati effettivamente raggiunti (molto importanti per la EU);
– se considerare come contributo alla lotta ai cambiamenti climatici non solo le azioni di mitigazione ma anche quelle di adattamento.
– come esprimere la differenziazione, intesa come la possibilità che gli obblighi dei Paesi che aderiranno al nuovo regime debbano essere formulati tenendo conto delle diversità delle realtà ambientali ed economiche e dell’evolversi delle mutate circostanze nazionali presenti e future, favorendo un approccio equo, dinamico e sufficientemente ambizioso da realizzare l’obiettivo di lungo termine di rimanere al di sotto dei 2° C.
– la finanza per il clima, in altre parole il bilanciamento tra gli impegni richiesti e il supporto finanziario garantito a favore dei Paesi in via di sviluppo. Tali paesi infatti chiedono la messa a disposizione di mezzi finanziari adeguati per dare seguito ad azioni ambiziose di mitigazione e adattamento e fronteggiare seriamente le calamità naturali causate dai cambiamenti climatici.
Durante l’ultima sessione negoziale dell’ADP a Bonn in ottobre, i Paesi si sono trovati d’accordo sulla necessità di accelerare i lavori in vista di Parigi e hanno avviato la vera e propria redazione, riga per riga, del testo dell’accordo (ivi incluse le relative decisioni) affrontando tutte le tematiche sopra elencate. Al termine della sessione negoziale, i Paesi hanno concordato che il testo finalizzato riflette i contributi espressi dagli stessi e costituisce la base per il successivo negoziato che si avrà nel corso della Conferenza di Parigi.
C’è quindi ancora molto da lavorare per raggiungere un’intesa sul clima che sia efficace e che abbia la piena collaborazione di tutti.
Il Ministero dell’Ambiente a nome del Governo italiano è pronto a sedersi al tavolo negoziale di Parigi per sostenere e alimentare costantemente lo sforzo europeo, mettendo in campo tutta la sua influenza e le sue relazioni per raggiungere l’obiettivo di un accordo storico.
3. Stato dell’arte
A fronte dell’impegnativo lavoro che ci aspetta a Parigi, esistono aspetti molto positivi che dobbiamo considerare e che costituiscono chiare premesse per un possibile successo della Conferenza.
I contributi nazionali alla riduzione delle emissioni che nella COP di Lima si stabilì dovessero essere presentati prima di Parigi, sono stati presentati ad oggi da oltre 160 paesi, coprendo il 93% delle emissioni globali.
Questo è un dato senza precedenti e per la lotta ai cambiamenti climatici assolutamente straordinario, il vero segnale della inversione di tendenza e della assunzione della consapevolezza politica che è necessario un impegno da parte di tutti.
Infatti, l’unico illustre precedente – il Protocollo di Kyoto – riguarda paesi che attualmente emettono il 12% dei gas serra globali, riflettendo di fatto una geografia “emissiva” che non tiene conto della realtà di oggi e del peso delle economie emergenti.
Sebbene lo sforzo complessivo dei contributi volontari sia significativo nel ridurre la crescita delle emissioni, questo processo è allo stato attuale insufficiente per raggiungere l’obiettivo concordato dai paesi e suggerito dalla scienza di restare al di sotto dei 2°C e di evitare quindi il verificarsi di eventi climatici catastrofici nel prossimo futuro.
E’ dunque prioritario che l’Accordo di Parigi crei le basi per incentivare nel tempo ulteriori e crescenti azioni da parte di tutti, in modo da ridurre il divario che esiste tra i contributi nazionali comunicati dai Paesi e quanto la scienza ci suggerisce essere necessario per evitare ulteriori e ben peggiori danni derivanti dai mutamenti del clima.
A questo riguardo, è senza dubbio fondamentale che l’Accordo che si sta costruendo preveda meccanismi di governance in grado di:
– rinforzare periodicamente gli impegni assunti dai paesi, secondo cicli di comunicazione di tali impegni ogni 5 o 10 anni,
– di valutarne regolarmente (possibilmente con cadenza quinquennale) la portata collettiva alla luce dell’obiettivo di rimanere al di sotto dei 2°C e di adattare rapidamente tali obiettivi alle mutate situazioni socio-economiche.
Data l’urgenza con cui dobbiamo affrontare questa sfida, auspichiamo che l’occasione per fare il punto su quanto abbiamo fatto e quanto dovremmo ancora fare venga previsto anche prima dell’entrata in vigore dell’Accordo, prevista per il 2020, in modo da inspirare l’elaborazione dei prossimi contributi volontari.
Al di là dei numeri, la dimensione del successo di questo accordo dovrà essere misurato dalla sua capacità di porre in essere un regime duraturo e realmente ambizioso per affrontare le sfide poste dai cambiamenti climatici e dalla sua abilità di adattarsi alle realtà in continua trasformazione.
Pur non essendo questo un obiettivo semplice, i governi che a Parigi lavoreranno con impegno per ottenere un risultato ambizioso potranno contare sul sostegno continuo degli attori non governativi e, più in generale, della società civile.
Su iniziativa della presidenza francese della Conferenza, il mondo non governativo (le città, le regioni e gli altri enti subnazionali, le organizzazioni internazionali, le imprese, i popoli indigeni, le donne, i giovani, le istituzioni accademiche) a fianco di quello governativo, singolarmente o in forma associata, è stato chiamato a dare il suo contributo per un nuovo accordo legale, accelerando le iniziative di forte impatto nelle diverse aree strategiche nella lotta ai cambiamenti climatici nel periodo pre-2020.
Tali azioni saranno parallele e addizionali rispetto agli impegni presi e realizzati dai Governi ma potranno essere comunque catalizzatori di nuovi contributi degli stati e permettere loro di diventare ancora più ambiziosi.
4. Situazione dell’Italia
Per quanto riguarda il nostro impegno a livello nazionale ed europeo, come sapete, l’Italia ha già raggiunto l’obiettivo previsto dal Protocollo di Kyoto ( impegno nazionale di riduzione del 6,5% nel periodo 2008-2012 ).
Per quanto riguarda lo stato di attuazione degli impegni per la riduzione al 2020, come già ampiamente riportato nella relazione che di concerto con le altre Amministrazioni interessate, ogni anno il Ministro dell’Ambiente predispone, si evince chiaramente che le proiezioni emissive confermano che le misure già adottate ci consentono, ad oggi, di cogliere il nostro obbiettivo europeo di riduzione delle emissioni del 20%.
L’adozione dei nuovi obbiettivi al 2030 da parte del Consiglio Europeo dell’ottobre del 2014, apre una nuova fase di definizione delle politiche e misure a livello europeo.
Lo scorso 15 luglio, la Commissione ha presentato la nuova proposta per la modifica del sistema di scambio di emissioni ( emission trading fase IV) mentre si attende più in avanti, molto presumibilmente all’inizio del 2016, la proposta di decisione che riguarderà tutti i settori cosiddetti non – ETS (agricoltura, trasporti, civile, residenziale, rifiuti ecc.) e che determinerà la distribuzione dello sforzo del 30% di riduzione a livello di Stato Membro (ricordo che lo sforzo di riduzione che l’Europa ha concordato è costituito da un – 40% che è composto da una riduzione del 43% per i settori ETS a livello comunitario – e del 30% sugli altri settori da dividere per Stato membro).
A questo proposito, colgo l’occasione per informarvi che stiamo predisponendo all’interno del “green act” un apposito capitolo che tenga conto di questi nuovi impegni e individua degli strumenti adeguati per raggiungerli.
La Conferenza di Parigi si svolgerà mentre in tutto il mondo è ancora tragicamente aperta la ferita degli attentati del 13 novembre che hanno colpito proprio la capitale francese.
In molti hanno collegato la scelta del luogo e del tempo di questa barbarie alla COP che si sta per aprire.
Io credo che se collegamento ci sia, e io credo che a questo punto “debba” esserci, dev’essere un ulteriore spinta a far prevalere le ragioni della civiltà, a far vincere il coraggio e la speranza.
A Parigi oggi più di ieri abbiamo un dovere morale di raggiungere una intesa efficace contro il surriscaldamento globale.
Anche per dimostrare che l’umanità non si lascia intimidire dalla paura e che tutti i paesi del mondo assieme sanno lavorare per costruire un futuro migliore per tutti.
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