Ministro Orlando, le dichiarazioni programmatiche

Andrea Orlando, Ministro dell'Ambiente
Andrea Orlando, Ministro dell'Ambiente

Le dichiarazioni programmatiche del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare On. Andrea Orlando durante l’audizione del 22 maggio in VIII Commissione Ambiente alla Camera dei Deputati.
“Signor Presidente, Onorevoli Colleghi, ieri ed oggi i giornali e le televisioni di tutto il mondo ci hanno raccontato e documentato quello che è accaduto a Oklahoma City: l’ennesimo disastro naturale che ha portato morte e distruzione in una parte del pianeta.
Ho pensato allo scetticismo che suscitarono, a sinistra e a destra, nei giorni più infuocati della campagna per l’elezione presidenziale negli USA, gli appelli del Presidente Obama ad “Agire prima che sia troppo tardi”, richiamando la necessità di un impegno comune, di una vera e propria lotta –come si direbbe, bipartisan – per combattere i cambiamenti climatici. Molti di noi, preoccupati anche per il rischio paventato di una mancata rielezione, ne rimasero fortemente colpiti.

Vi è una domanda che vale sempre la pena porsi, di fronte a un disastro naturale come quello di Oklahoma City o di fronte a una Conferenza mondiale che denuncia per l’ennesima volta i rischi ambientali insiti nel nostro modello di sviluppo: è attrezzata, è adeguata, la politica delle parti, della contrapposizioni delle parti, a misurarsi con una minaccia che riguarda tutti? Lo è soprattutto all’interno di confini nazionali, sempre più piccoli e ristretti ?
Ecco, forse proprio la nascita di questo Governo – per la sua peculiare, inedita e non ripetibile natura – può costituire un’occasione importante anche per provare a raccogliere la portata di quei dilemmi, e ricollocare le sfide e le problematiche ambientali al centro della discussione politica, delle scelte fondamentali da compiere subito.
Penso anche che il ruolo delle opposizioni sia decisivo nel far cogliere a tutto il paese la portata di questa sfida. Questo è un Parlamento che, anche per un dato anagrafico dei suoi componenti, esprime una sensibilità ambientale forse mai registratasi in queste aule.
Di fronte ai grandi cambiamenti che ho richiamato, mi chiedo se persino la distinzione fra maggioranza e opposizione mantenga il senso che si è affermato nella storia del Parlamento. Inedite e necessarie occasioni di confronto e collaborazione si pongono di fronte a noi se avremo la capacità ed il coraggio di coglierle.
Nel suo discorso programmatico, il Presidente del Consiglio, Enrico Letta, ha usato parole tra le più impegnative sulla necessità di investire nello sviluppo verde dell’Italia. Il richiamo alle nuove tecnologie, alle fonti rinnovabili, all’efficienza energetica, alla ricerca e innovazione, alla tutela e alla promozione del patrimonio ambientale, spiccava tra le indicazioni di percorso per riprendere un cammino di “sviluppo durevole” del Paese, e per dare quella prospettiva occupazionale, di buona occupazione, alle nuove generazioni a cui è stata largamente negata.
La crisi e la sostenibilità dello sviluppo. La necessità di una nuova visione: lavoro, cultura, ambiente
In questo quinquennio, si è definitivamente, e drammaticamente, infranta l’illusione ideologica che una crescita senza regole, una competitività irresponsabile e non attenta alla qualità del lavoro , una produzione fondata sul consumo dissennato delle risorse e del suolo, avrebbero condotto a un benessere diffuso, a una moltiplicazione delle opportunità, a minore disoccupazione e minori disparità.
L’ “ideologia” di questo modello di sviluppo ha avuto anche come corollario il confinamento ai margini della questione ambientale. E così, in larghe fasce della politica, dei settori produttivi, nello stesso comune sentire, la tutela dell’ambiente, del territorio, del mare, veniva percepita come mero elemento di conservazione, di negazione della possibilità aperte dalla modernità, di vincolo, un mero ostacolo “burocratico” allo sviluppo economico del Paese.
La crisi in cui ancora sopravviviamo, ha segnato la bancarotta di tutto questo.
Ormai chiara a tutti l’esigenza di una nuova visione, il più possibile condivisa. E il cambiamento, la svolta, non può che avvenire su un piano culturale, prima che economico. È ciò che impone l’irruzione sulla scena della grande questione della sostenibilità dello sviluppo. Di fronte al fallimento di un modello di sviluppo, ad un mondo che s’è guastato (avrebbe detto Tony Judt)- e guastato fino alla minaccia di una crisi ecologica che, nei prossimi decenni (decenni, non secoli) potrebbe compromettere non solo la qualità della vita, ma la sopravvivenza stessa della civiltà così come oggi conosciuta, della umanità futura- la ricerca di un nuovo equilibrio nelle relazioni fra economia, società, ambiente e istituzioni non può essere più considerato il tema di poche anime belle di visionari, di una minoranza allarmata e militante di ambientalisti.
I caratteri emblematici della doppia crisi economica ed ambientale sono tanti. Un esempio per tutti : i cambiamenti climatici determinati dalla crescita sempre più rapida della concentrazione di CO2 in atmosfera. Due settimane fa la concentrazione di CO2 ha raggiunto i 400 ppm (particelle per milione), come rilevato dal NOAA ( National Oceanic and Atmosferic Administration, US) e dallo Scripps Institution of Oceanography di San Diego nell’osservatorio di Mauna Loa, Haw).
Il trend, che sembra inarrestabile, ci porterà ben prima della metà del secolo ad oltre 450 ppm e ad un aumento di temperatura superiore al limite dei due gradi centigradi rispetto al periodo preindustariale. Un limite che viene considerato invalicabile al fine di evitare effetti irreversibili e consentire un processo, anche se costoso e complesso, di adattamento.
Al di là delle cifre allarmanti, i segni del cambiamento sono di fronte a noi a partire dalle anomalie climatiche: siccità, desertificazione, fenomeni atmosferici estremi, innalzamento e acidificazione dei mari. Come già evidenziato dal mio predecessore, proprio in occasione delle sue considerazioni programmatiche, l’Italia è particolarmente esposta a tali fenomeni con l’esigenza di proteggere le coste, i territori con caratteristiche orografiche che ne amplificano la vulnerabilità, il rischio idrogeologico. Tutto ciò mentre permangono ombre sul futuro del dopo Kyoto. L’impegno raggiunto a Durban nel dicembre del 2011, in occasione della COP 17 (Conferenza delle parti), di definire entro il 2015 uno strumento giuridico che contempli impegni vincolanti, è soggetto ad incertezze, incluso il ruolo dei grandi inquinatori (Stati Uniti, Russia, Cina, Canada).
Questo è lo scenario globale, al tempo della crisi. E la sostenibilità dello sviluppo è il tema del nostro tempo. Il rispetto e la tutela dell’ambiente, da vincolo, deve diventare opportunità immediata per sperimentare strade che coniughino le azioni per il necessario miglioramento della performance economica con politiche volte a dare sostenibilità – che vuol dire anche durevolezza, stabilità – allo sviluppo.
L’Ambiente come priorità sia anticongiunturale che strategica. La prospettiva europea e la governance dello sviluppo sostenibile.
L’ambiente è una priorità economica e sociale dell’azione di questo esecutivo, al pari delle misure per la qualità della democrazia e il funzionamento delle istituzioni. Pertanto, il tema dello sviluppo sostenibile non può essere inteso semplicemente come un’area o un settore della sua attività, o ancora come una semplice voce delle politiche di coesione buona per raggranellare finanziamenti europei.
Le politiche per migliorare la qualità ambientale del Paese devono diventare l’orizzonte strategico delle sue scelte di fondo del Governo: dalle politiche di bilancio a quelle fiscali, dalla ricerca e innovazione alle politiche industriali e per la competitività, dagli investimenti infrastrutturali Nell’aggiornamento al DEF che il Governo si è impegnato a presentare entro Giugno, sarà mia cura indicare alcune priorità politico-programmatiche in materia ambientale. Sono le priorità che in questa sede vorrei sommariamente provare ad enunciare.
La definizione di un indirizzo politico-programmatico in materia ambientale, all’altezza delle sfide e delle ambizioni che l’Italia deve legittimamente coltivare, richiede una pluralità di interventi normativi ed organizzativi, anche rilevanti.
Come sapete, mai quanto in materia ambientale è indispensabile guardare a quello che si muove fuori dal nostro Paese, al contesto internazionale e sovranazionale nel quale si muove il nostro paese.
In primo luogo, l’Italia deve rafforzare il proprio ruolo nell’ambito della cooperazione internazionale e dei seguiti di Rio +20, deve affermare il suo ruolo nello sviluppo delle tecnologie pulite, creando anche opportunità per le nostre imprese operanti in tale settore sui mercati internazionali.
E poi c’è l’Europa. Com’è noto, l’Unione Europea ha individuato da tempo negli investimenti in materia ambientale uno dei motori principali dell’economia, indicando la via della promozione di politiche di sviluppo sostenibile, soprattutto in tema di lotta al cambiamento climatico, e di adozione di produzioni e processi produttivi ambientalmente sostenibili.
La cosiddetta strategia “Europa 2020” indica l’ambiente tra le aree prioritarie per una crescita intelligente, solidale e sostenibile, con la lotta ai cambiamenti climatici e la ricerca della sostenibilità energetica.
Su questo ultimo punto, che segna l’intreccio fondamentale tra politiche energetiche e obiettivi ambientali, mi limito a ricordare a tutti la necessità di procedere spediti e con strumenti efficaci al raggiungimento dei target del pacchetto europeo conosciuto come “20-20-20” , che prevede una riduzione delle emissioni di gas serra del 20% (o persino del 30%, se le condizioni lo permettono) rispetto al 1990, il raggiungimento del 20% del fabbisogno di energia ricavato da fonti rinnovabili e l’aumento del 20% dell’efficienza energetica.
Per quanto riguarda le strategie generali di sviluppo, “Europa 2020” si fonda sulla convinzione che la base industriale europea debba darsi un nuovo orientamento verso un futuro più sostenibile e cogliere le opportunità offerte dagli investimenti che l’Europa ha precocemente realizzato, come nelle tecnologie verdi. È indubbio che la concorrenza a livello mondiale è accesa: per questo il sostegno alle industrie europee verdi deve continuare, come opportunità di crescita e di uscita dalla crisi.
È evidente che l’attuazione delle strategie economico-energetico-ambientali europee presuppongono un sistema di governo dell’economia in grado di coordinare le azioni a livello UE e a livello nazionale. L’Europa federale di cui ha parlato con coraggio il Presidente Letta nel suo discorso di insediamento è dunque un passaggio ineludibile. Sul versante interno, comunque, la possibilità di essere protagonisti nella definizione ed attuazione delle politiche europee passa attraverso l’integrazione della scelta della sostenibilità in tutte le aree di governo ed una profonda rivisitazione della governance per lo sviluppo sostenibile.
Questo chiama in gioco il ruolo del Ministero, e ci tornerò tra un momento. Intanto, sempre nel quadro di una maggiore europeizzazione delle questioni ambientali, qui anticipo che un primo nodo fondamentale da sciogliere sulla governance riguarda la programmazione e l’implementazione delle politiche di coesione per il ciclo 2014-2020 finanziate coi fondi strutturali.
Già nei prossimi giorni, avvierò un’interlocuzione con il Ministero della coesione territoriale, affinché, nel prossimo Accordo di Partenariato, la pluralità e trasversalità delle voci e priorità di carattere ambientale non possano tradursi in un’ assenza di linee di finanziamento verticali espressamente dedicate alla realizzazione di interventi a cura del Ministero dell’Ambiente e delle autorità ambientali.
Bisogna andare ben oltre le necessarie risorse per l’assistenza tecnica, mi riferisco in particolare agli interventi per le bonifiche, agli interventi di difesa del suolo e riassetto idro-geologico, alle energie rinnovabili, che necessitano di risorse molto ingenti sia per innescare una dinamica di convergenza delle regioni meno sviluppate che per la generale ridefinizione del nostro modello di sviluppo, anche nelle regioni più avanzate.
Il ruolo del Ministero, fuori dal tecnicismo e dalle emergenze. La questione delle risorse e il coordinamento con le Regioni
L’assunzione di una visione strategica delle politiche di sostenibilità e di tutela e valorizzazione ambientale impone un cambiamento di cultura politica da parte di tutti gli attori istituzionali. In primo luogo, però, occorre fugare i due pericoli principali che mi è sembrato di scorgere negli anni.
La tendenza a relegare nel tecnicismo di autorizzazioni e controlli l’attività del Ministero che guido, o peggio a una centro di crisi per la gestione delle emergenze.
Uscire dal tecnicismo, pur valorizzando il sapere tecnico e specialistico come risorsa fondamentale in questo campo, significa caricare di politica un complesso di questioni che sono diventate squisitamente politiche.
Uscire dalla gestione dell’emergenza, pur presidiando le diverse situazioni di crisi, come ho cercato di fare fin dai primissimi giorni con le visite a Caserta, a Piombino e al Giglio, e Trieste, è forse la sfida più difficile, nel tempo – nessuno può dire quanto lungo – che avrà a disposizione questo Governo. Eppure è una necessità ineludibile per riuscire a imprimere quella svolta prospettica e programmatica all’attività del Ministero.
Alla luce di queste considerazioni, mi pare possa dirsi definitivamente superata quella discussione che di tanto in tanto è riaffiorata nel dibattito politico.
Si è discusso dell’attualità di un Ministero dell’Ambiente che non riesce ad esprimere un adeguato impatto sulle scelte generali di politica economica e culturale del Paese, né ad imporsi sul piano del coordinamento istituzionale.
Si è paventata la possibilità di “spacchettarne” le competenze, attribuendole a diversi altri Dicasteri, che avrebbero potuto incorporare l’insieme delle normative ambientali nelle proprie agende, curandone, ciascuno per la propria parte, l’applicazione.
Ritengo questa impostazione del tutto errata, e penso anzi che sia indispensabile dar luogo a un processo esattamente inverso.
Piuttosto che disseminare, nel senso d spargere e disperdere le competenze dell’Ambiente, occorrerebbe una vera e propria “semina verde”. È un’espressione, questa, tanto cara ad Alex Langer, e che mi piace qui richiamare, perché rileggendo le sue opere, che vent’anni fa sembravano visionarie, viene da riflettere.
Occorre che in tanti – a livello politico-istituzionale – si incarichino di questa “semina verde”. Per fare fronte agli impegni sulle politiche ambientali richiesti dall’Unione europea e dalla Comunità internazionale però occorre rafforzare e non indebolire le funzioni di indirizzo, controllo e coordinamento delle politiche ambientali in capo a un unico centro strategico, o che tale deve davvero ambire a diventare, e cioè il Ministero dell’Ambiente.
E questo, anche a garanzia della coerenza di una politica ambientale che sappia promuovere la sinergia di politiche aggiuntive e politiche ordinarie. Ovviamente, questo non esclude e anzi favorisce una maggiore condivisione sulle scelte e nella risoluzione dei problemi con i ministri responsabili dell’Agricoltura, delle Infrastrutture e Trasporti, dello Sviluppo Economico, della Coesione territoriale, della Sanità, della Giustizia, delle Finanze e, infine, della Protezione civile. Se ciò è condivisibile e condiviso, allora diventa prioritario lavorare per invertire la tendenza, in atto da almeno un decennio, ad una sistematica spoliazione di risorse e strumenti del Ministero dell’Ambiente.
Sia chiaro, un Paese a rischio idrogeologico come il nostro, prima ancora di progettare opere e strutture artificiali per contenere ed affrontare il dissesto, deve innanzitutto tutelare e salvaguardare ecosistemi e biodiversità in grado di produrre straordinarie difese naturali agli eventi idrogeologici intensi. Restituire più spazio ai corsi d’acqua e ridurre il consumo di territorio sono in questo senso azioni senza dubbio prioritarie.
E intendiamoci su un altro punto, noi faremo come gli altri – e se sarà necessario, più di altri – la nostra parte nel cercare di contenere le spese e razionalizzare i costi del proprio funzionamento, nel combattere gli sprechi e le storture della propria organizzazione.
Da questo punto di vista, io credo che occorra provvedere alla complessiva riorganizzazione del Ministero, incluse le Commissioni e gli altri organismi collegiali, nonché intervenire sul tema del raccordo funzionale e del coordinamento con Ispra sino alla valutazione del ruolo di Sogesid. Penso inoltre che occorra una verifica del ruolo delle gestioni commissariali, considerando l’eventuale necessità di correzioni normative ed amministrative.
Detto questo, è mia opinione che non possa più reggere il binomio “aumento delle competenze/diminuzione delle risorse”.
È dagli anni Duemila che le competenze del Ministero si sono ulteriormente arricchite, soprattutto per il rilievo internazionale degli impegni assunti nell’ambito dell’Unione Europea e delle Convenzioni e Protocolli delle Nazioni Unite (quasi 70 tra direttive/regolamenti europei e oltre 20 accordi internazionali ratificati dal Parlamento).
A fronte di tale aumento delle competenze e delle responsabilità, segnalo una diminuzione rispetto al 2003, soli dieci anni fa, di oltre il 70% della dotazione annuale di bilancio del Ministero e di quasi il 50% del personale.
Tale riduzione di risorse finanziarie e umane non ha solo indebolito il ruolo del Ministero, ma ha avuto conseguenze rilevanti sull’ambiente e sull’economia nazionale: vi è stato sicuramente un allungamento dei tempi e maggiori incertezze sia nelle procedure di autorizzazione che nelle valutazioni di competenza.
Molti programmi già avviati si sono bloccati, e in particolare quelli per la prevenzione del dissesto idrogeologico, per la riduzione dell’inquinamento atmosferico, per la promozione della raccolta differenziata ed il recupero dei rifiuti, per la depurazione delle acque.
E forse non è un caso l’aumento vertiginoso del numero di procedure di infrazione comunitarie in materia ambientale: 31 casi su 98 a fine aprile 2012, di gran lunga il settore in cui l’Italia presenta maggiori difficoltà . Tali infrazioni se dovessero perdurare esporrebbero l’Italia al rischio di condanna e al pagamento di ingenti somme . Penso al tema della gestione dei rifiuti in Campania e alla chiusura delle discariche abusive.
Ancora più drammatico, se possibile, è il blocco delle risorse per interventi urgenti quali, ad esempio, quelli per contrastare i dissesti idrogeologici e le bonifiche, dovuto ai vincoli del Patto di stabilità interno. La stima è che circa tre miliardi di euro per opere di bonifica e depurazione sono bloccati dalle regole del Patto. Penso all’urgenza di interventi nei siti contaminati di interesse nazionale : Taranto, Sulcis, Porto Torres, Balangero, Casale Monferrato per citarne solo alcuni. Penso alla necessita di completare il Piano di depurazione per il Sud finanziato dal Cipe e alla necessita di reperire risorse spendibili per attuare un Piano di depurazione per il Centro Nord. Perciò occorre proporre con forza che la spesa per interventi di difesa del suolo, di riassetto idrogeologico, per il ripristino e la bonifica dei siti produttivi inquinati, nonché la messa a norma degli impianti di depurazione, non siano computabili nei saldi relativi al Patto di stabilità. È un tema assolutamente centrale e non da adesso, e certamente sappiamo che la partita non si gioca in Italia. Ma una battaglia su cui investire di responsabilità governo, Parlamento e forze politiche. Del resto, la risoluzione approvata all’unanimità dalla VIII Commissione della Camera qualche giorno fa, nel riproporre il ripristino delle agevolazioni fiscali del 55% per interventi di riqualificazione energetica, ha posto con forza il tema all’attenzione del governo, anche le Regioni insistono con forza su questo punto.
Ho voluto incontrare le Regioni, la scorsa settimana, non solo per ragionare insieme delle principali criticità da affrontare. Ma proprio perché, nell’ambito di una rinnovata governance delle politiche ambientali, occorre puntare su una maggiore coerenza fra l’azione del governo centrale e regionale. Le strategie regionali devono poter assicurare il contributo della regione agli obiettivi nazionali e nello stesso tempo indicare con chiarezza la strumentazione, le priorità, le azioni assicurando l’unitarietà all’attività di pianificazione dell’intero paese.
Per quando riguarda il livello centrale conto di presentare al più presto al CIPE l’aggiornamento della Strategia di sviluppo sostenibile nazionale attraverso un percorso di larga partecipazione allargato non solo ai diversi livelli di governo, ma anche alle associazioni produttive e al vasto mondo dell’associazionismo ambientale. La Strategia dovrà indicare anche le modalità secondo le quali nel processo decisionale del CIPE saranno tenute in conto le preoccupazioni ambientali ed assicurati meccanismi di informazione e partecipazione del pubblico. Sarà mio impegno tenere aggiornato il Parlamento su tale processo.
Le tre grandi opzioni strategiche: green economy, energie rinnovabili, biodiversità
È in questo quadro, è con queste premesse di azione politica, che si possono perseguire le grandi opzioni strategiche che l’Italia ha di fronte: la progressiva modifica del modello di sviluppo verso la green economy, la riconversione energetica e la tutela della biodiversità.
La green economy, pilastro delle politiche di sviluppo sostenibile, costituisce e implica un’agenda politica e operativa che può contribuire a migliorare il rapporto fra le esigenze produttive e la tutela e valorizzazione dell’ambiente. Al centro è la promozione delle condizioni necessarie, attraverso interventi di modifica delle convenienze sul mercato, a favorire l’innovazione, gli investimenti e la concorrenza che possano creare un terreno fertile per la complessiva diminuzione dell’impatto dell’attività economica sull’ambiente. Un utile e dovuto riferimento sono le Direttive europee in materia di efficientamento energetico. Gli Stati Generali per la Green Economy, riunitisi lo scorso novembre a Rimini, hanno utilmente proposto numerose iniziative. Fra quelle che mi riservo di portare al più presto alla vostra attenzione è la delega per la riforma della fiscalità ambientale, naufragata sul finale della scorsa legislatura. La riforma dovrà assicurare, a parità di gettito, un trasferimento di oneri dal lavoro e dagli investimenti alla produzione e consumo di beni e servizi ambientalmente dannosi e, ove esistenti, la rimozione di sussidi ad attività impattanti, a favore di tecnologie più efficienti dal punto di vista ambientale.
Sulla questione energetica, faccio mio quanto detto ieri dal Presidente Enrico Letta intervenendo in Senato alla vigilia del vertice Ue: la priorità assoluta in campo energetico per noi resta lo sviluppo delle fonti rinnovabili”.
Le energie rinnovabili hanno conosciuto negli ultimi anni un grande sviluppo, forse troppo accelerato e talvolta distorto. Il sistema degli incentivi avrebbe avuto bisogno di una revisione e di un coordinamento strategico che sono mancati. Ora non possiamo permetterci di fermare un settore strategico per il futuro come sta già purtroppo accadendo, con il rischio di perdere ulteriori posti di lavoro. La filiera italiana delle rinnovabili vanta esperienze di punta, come ad esempio il solare termodinamico, e vi è bisogno di ulteriore stimolo e supporto alle imprese in grado di competere sui difficili mercati internazionali. D’altro canto, il rafforzamento della capacità di autoproduzione deve essere sorretto dallo sviluppo di una rete di distribuzione intelligente, perché solo così sarà possibile il perseguimento di una vera autonomia energetica.
In tal senso un grande ruolo lo può svolgere la ricerca: c’è un universo parallelo, molto avanzato e internazionalmente riconosciuto nel nostro Paese che contribuisce attraverso il ruolo delle Università (Scuola Normale Superiore, IIT, Sant. Anna, Politecnici) del CNR dell’Enea a definire nuove opportunità di valorizzazione della produzione e della conservazione di energie rinnovabili e della distribuzione più equa ed intelligente nel Paese.
Però ci vuole un quadro di regole certe, senza appesantimenti burocratici. Bisogna magari superare le difficoltà applicative del sistema dei registri che il precedente governo ha previsto nei decreti sulle rinnovabili elettriche e sul fotovoltaico (V conto energia).
Dobbiamo poi saper costruire le condizioni per rendere possibile e anzi avvicinare lo sviluppo delle rinnovabili senza incentivi, uno scenario realistico in tempi brevi a patto che si provveda con la semplificazione necessaria, dando un quadro di regole uniformi nel territorio nazionale e stabile nel tempo e sostenendo misure come i seu (sistemi efficienti di utenza) e promuovendo i sistemi di accumulo, come già la Germania sta facendo dall’inizio del mese di maggio.
La riduzione del costo dell’energia, poi, rimane un grande obbiettivo strategico, anche come fattore di competitività per le imprese. E occorre rafforzare la capacità di analisi dei fattori che ne determinano l’incidenza, a partire dal peso che ancora hanno i combustibili fossili. Una domanda è ineludibile: qual è l’effetto di sommare produzione, in eccesso, da centrali convenzionali e produzione da rinnovabili crescenti? Su questo, occorre aprire un grande dibattito pubblico sulle forme di energia che preferiamo utilizzare, se riteniamo più conveniente proseguire con i combustibili fossili – con il loro portato disastroso sui cambiamenti climatici – o se riteniamo sia giunto il momento di compiere quelle scelte coraggiose che guardino al futuro. Non è che manchino i modelli, i buoni esempi. Un grande paese industriale come la Germania, con l’apparato produttivo più forte d’Europa, punta a raggiungere nel 2050 il soddisfacimento del 100% del fabbisogno energetico dalle fonti rinnovabili. E questo vuol dire dotarsi di regole certe e durature nel tempo, e di una programmazione di interventi e investimenti in grado – e non è certo un argomento secondario – di attivare una dinamica occupazionale che secondo le stime ha già creato, in quel paese, oltre 360 mila posti di lavoro.
Con la prospettiva non più rinviabile dell’efficientamento energetico può ripartire un settore tradizionale come è quello dell’edilizia, sostanzialmente fermo, al quale affidare il compito straordinario di trasformare quanto già costruito.
Agli edifici si deve il 40% dei consumi di energia nell’Unione europea e i nostri brillano per inefficienza. Ci vuole però anche qui una politica certa. Lo strumento semplice ed efficace dello sgravio del 55% (che scade il 30 giugno 2013) per ristrutturazioni a finalità ambientali non può essere messo in discussione ogni anno, ma deve essere reso permanente ed esteso all’adeguamento alle norme antisismiche, come chiesto in molte occasioni anche dal Parlamento. In questo senso, avvierò un immediato coordinamento con il Ministro dello sviluppo economico, nella prospettiva di un aggiornamento operativo già nelle prossime settimane.
Insieme a quello dei cambiamenti climatici, la continua perdita di biodiversità rappresenta l’emergenza più importante con cui occorre misurarsi con l’obiettivo di invertire le tendenze in atto per salvare così il futuro della nostra civiltà. Tutti i principali centri scientifici internazionali concordano che la biodiversità è in rapido peggioramento. L’estinzione delle specie selvatiche procede ad un ritmo di mille volte superiore a quello naturale. Una piccola buona notizia, la prima che ho ricevuto da quando sono al Ministero, lasciatemela ricordare: il ritorno della foca monaca nelle acque italiane delle isole Egadi, in Sicilia, decenni dopo la sua scomparsa.
La tutela della biodiversità rappresenta l’altra grande opzione strategica per il nostro Paese. I Parchi e le aree marine protette , i luoghi cioè più emblematici dal punto di vista ambientale, possono e devono svolgere sempre di più funzioni di riferimento per le politiche di cura e manutenzione di risorse come aria, acqua e suolo .
Senza politica di conservazione del valore delle risorse naturali attenta e duratura non si innescano politiche per l’economia sostenibile e processi di crescita . L’obiettivo che l’UE si sta proponendo, cioè di arrestare la perdita della biodiversità ed il degrado dei servizi ecosistemici entro il 2020, potrà essere raggiunto a condizione che esso sia veramente e pienamente inserito sia nella strategia europea per lo sviluppo sostenibile, sia nella strategia per la crescita intelligente e l’occupazione di qualità. L’Italia deve essere pronta a fare la sua parte.
Per questo lavorerò per costruire una Conferenza Nazionale in tema di biodiversità, un momento importante per fare il punto sul sistema parchi e aree protette, ma soprattutto per capire meglio come le nostre straordinarie ricchezze naturalistiche , quasi ovunque intrecciate con inestimabili valori culturali, possano essere messe al centro di una politica per la crescita e lo sviluppo.
Va richiamata una scommessa vinta dal nostro paese. Venti anni fa l’istituzione di aree protette e parchi suscitò le reazioni negative di molte delle popolazioni che vivevano nei territori interessati. Il tempo trascorso ha dimostrato come spesso queste esperienze siano diventate fattore di sviluppo, favorendo la nascita di numerose attività legate al turismo ecosostenibile e alle produzioni agricoli locali . E’anche per questo che il consenso attorno ad esse è cresciuto e si è consolidato.
Dobbiamo poi lavorare per le politiche attive di tutela del mare, mediante una forte valorizzazione degli strumenti comunitari, penso all’attuazione della Marine Strategy con il concorso delle regioni e delle categorie del mare; all’ aggiornamento della normativa nazionale insieme ad una forte opera di razionalizzazione degli strumenti operativi di cui disponiamo.
Le tre priorità legislative: l’acqua, il consumo del suolo, i delitti ambientali
Nel tempo, più o meno lungo, che avrò a disposizione, mi sembra assai opportuno, soprattutto in questa sede, individuare obiettivi e priorità anche dal punto di vista normativo, che diano vita, in un arco temporale ragionevolmente breve, a precise iniziative legislative. Gli ambiti individuati sonol’acqua, il suolo e i delitti ambientali.
L’«acqua, bene comune» ha bisogno di un intervento normativo urgente e organico per porre fine alla vacatio post referendum. Occorre pervenire ad un Piano nazionale di tutela e gestione della Risorsa Idrica, che traduca finalmente le risultanze referendarie in una azione organica per la tutela, la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio, che introduca criteri e vincoli per una gestione efficiente, efficace ed economicamente sostenibile della risorsa acqua, rilanciando gli investimenti in infrastrutture e in tecnologie innovative. Facilitare l’accesso e tutelare il diritto individuale al “bene pubblico, acqua”, ridurre gli sprechi, affrontare il rischio desertificazione: queste alcune delle priorità che andranno affrontate attraverso un approccio pianificatorio unitario e integrale che coinvolga, fin dalla fase di impostazione, le Regioni. Infine, deve proseguire il lavoro sul passaggio alle regioni del demanio idrico.
La seconda priorità è di procedere alla definizione di una iniziativa legislativa che ponga dei limiti al consumo di suolo in tutto il Paese. Si tratta di puntare sulla trasformazione del tessuto urbano esistente e non sulla realizzazione di nuove edificazioni. Uno strumento normativo che unisca vincoli ed incentivi in grado di stimolare questo processo. Il riuso di aree degradate , la riqualificazione delle periferie urbane possono essere potenti strumenti anticiclici in grado di generare valore ed occupazione e nel contempo di fermare il dissennato utilizzo del territorio. Il punto di partenza può essere il DDL elaborato dal Governo precedente . Insieme al Ministero delle politiche agricole sottoporremo tale proposta ad una serrata consultazione e alla vostra attenzione. Un altro tema su cui intendo promuovere una iniziativa legislativa è quello delle sanzioni per illeciti ambientali. Credo infatti che in materia di reati ambientali ( troppe contravvenzioni e pochi delitti) e di illeciti amministrativi ambientali sia giunto il momento di una complessiva riforma normativa del sistema delle sanzioni: noi abbiamo bisogno di rivedere il complesso delle sanzioni amministrative, ma anche di ampliare l’ambito dei delitti contro l’Ambiente, le risorse e il patrimonio naturale e paesaggistico. Alcune proposte di iniziativa parlamentare sono state depositate in questa legislatura e nella passata, e saranno prese nella massima considerazione in vista di una proposta del Governo. La tutela dell’ambiente è un tutt’uno con la lotta alla criminalità organizzata. E’una convinzione che ho voluto manifestare, anche simbolicamente, dedicando la mia prima visita istituzionale alla città di Caserta.
Il monitoraggio dei suoli contaminati, le indagini epidemiologiche, le bonifiche (sulle bonifiche tornerò tra un momento) dei suoli contaminati in aree a forte condizionamento mafioso (non a caso, come in Campania, a più alto inquinamento), devono essere una priorità. Le mafie hanno fatto scempio dei loro territori, e su questo terreno, anche di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, potrà arrivare a mio avviso la più ferma reazione sociale alla criminalità organizzata. Per questo, ritengo importante sul piano sia pratico sia simbolico che si destini almeno una parte dei proventi della lotta alla criminalità, recuperati dallo Stato, il fondo Giustizia, a interventi di ripristino del territorio devastato dalle organizzazioni criminali.
La gestione delle emergenze: nelle crisi l’opportunità di un cambiamento strategico.
Se queste linee programmatiche di carattere strategico rispondono a quell’esigenza, cui accennavo all’inizio, di uscire dalla mera e affannosa gestione delle emergenze, che rischia di assorbire la maggior parte dell’attività ministeriale, le numerose e drammatiche emergenze ambientali del nostro Paese hanno bisogno di un fortissimo presidio nazionale, che vorrò assicurare anche attraverso la presenza nelle situazioni più difficili.
Un forte presidio nazionale, su territori che troppo spesso sono lasciati a se stessi e ai deboli strumenti delle autorità locali, non significa soltanto e necessariamente gestioni commissariali. Significa innanzitutto l’offerta di un supporto e di strumenti efficaci di gestione emergenziale, in un rapporto di leale collaborazione con le istituzioni locali, la protezione civile, eccetera. Perché spesso, l’emergenza può e deve diventare l’occasione per un cambiamento duraturo.
È il caso, ad esempio, della gestione dei rifiuti. Dobbiamo essere in grado di affrontare con decisione le situazioni di emergenza. Nello stesso tempo, però, nelle stesse realtà, abbiamo l’urgenza di programmare il futuro. La situazione di crisi coinvolge almeno quattro regioni (Lazio, Calabria, Campania e Sicilia, quasi un terzo della popolazione nazionale, grandissimi aree urbane come Napoli e Palermo). Occorrono misure immediate ed efficaci, restituendo, in un tempo ragionevole, un servizio di gestione del ciclo dei rifiuti allineato agli standard europei, ed in grado di corrispondere alla domanda di cittadini e imprese. Vanno superate situazioni diffuse di irregolarità. Occorre rompere il diffuso circolo vizioso tra inadeguatezza strutturale del servizio ed insolvenza degli utenti. Vanno messe in campo misure che ripristinino la praticabilità del servizio secondo criteri di equilibrio tra costi e ricavi.
Più in generale, i punti salienti dell’iniziativa del Governo sui rifiuti potrebbero riguardare:
1) La Revisione della tassa sui rifiuti, nella logica di introdurre elementi di certezza e proporzione tariffaria che oggi nel sistema normativo Tarsu, TIA e Tares, per come si è venuto configurando, non appare garantito.
2) L’adeguamento del sistema di riscossione.
3) La definizione di piani condizionati di rinegoziazione e rientro del debito, come è successo in materia sanitaria, con il sostegno e l’assistenza di Cassa Depositi e Prestiti , per l’eventuale anticipazione dei flussi futuri accertati.
4) Lo studio di forme di prelazione nel pagamento dei debiti della P.A. verso le imprese che operano nei servizi essenziali che, come nel caso della gestione dei rifiuti, impattano con la salute dei cittadini.
Nel contempo occorre agire sull’altra grande emergenza, che pure rappresenta un’opzione strategica: la prevenzione, il riciclo e il riuso.
Abbiamo la necessità di elaborare un piano di recupero, per promuovere l’uso delle materie prime seconde, riducendo i costi per i materiali e il consumo di materie prime. È fondamentale la promozione e l’incentivo di tutte le attività imprenditoriali che favoriscano il riutilizzo dei beni di consumo (industria del recupero, negozi dell’usato e dello scambio), allo scopo di ridurre al minimo l’utilizzo di nuove risorse naturali,incentivando le forme di accorciamento delle filiere agricole. Occorre concludere l’iter di elaborazione e approvazione del Piano Nazionale per la gestione integrata dei rifiuti che, semplificando la normativa di settore, sostenga la transizione da un sistema industriale a monte (discariche, inceneritori) a uno a valle per costruire le filiere di recupero e riuso delle risorse, verso la prospettiva dei “rifiuti zero”. Dobbiamo cioè muovere passi importanti per il passaggio da una società dello smaltimento a quella del recupero. L’industria del riciclo va sostenuta con programmi di acquisti verdi delle pubbliche amministrazioni. Rifiuti, dunque, non più solo come un problema da gestire ma come una risorsa economica da riutilizzare riducendo l’impatto sulle risorse naturali e quindi applicando quanto la direttiva europea prescrive con le quattro R di riduzione, riuso, riciclo, recupero di materia e di energia, lasciando solo la quota minima residuale in discarica.
Per quanto riguarda la disciplina delle procedure e degli interventi di bonifica dei siti contaminati, occorre rilevare che la possibilità di procedere ad una revisione organica ed approfondita della stessa, come auspicata da più parti, è legata al conferimento di una idonea delega legislativa al Governo da parte del Parlamento.
In alternativa, o comunque in attesa che una tale delega sia conferita, si potrebbe ripartire da un testo normativo già ampiamente esaminato dal Parlamento nella scorsa legislatura ( il disegno di legge di cui all’Atto Camera C. 4240-B, recante “Modifiche al decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, e altre disposizioni in materia ambientale”).
Tale testo, conteneva una serie di rilevanti innovazioni alle disposizioni vigenti in materia, non solo di bonifiche, ma anche di rifiuti, gestione della risorsa idrica, governance degli enti parco, etc.: L’anticipato scioglimento della legislatura ha impedito come sapete la sua approvazione.
Per quel che attiene la disponibilità di risorse del Ministero per gli interventi di bonifica nelle aree SIN, come sapete si sono drasticamente ridotte negli anni e che quelle derivanti dal programma nazionale bonifiche sono state già da tempo trasferite alle Regioni. Dei problemi dello sblocco di questi fondi in virtù dei vincoli del Patto di Stabilità ho già detto, sarebbe ovviamente auspicabile e mi batterò in questa direzione affinché il governo stanzi risorse aggiuntive per completare gli interventi di bonifica già avviati e rispondere a specifiche situazioni emergenziali.
Per quel che riguarda la lamentata lentezza dei procedimenti, alcune recenti iniziative del Ministero sono volte a una più efficace distribuzione della titolarità dei procedimenti di bonifica, attraverso la possibilità data alle Regioni di proporre la riperimetrazione dei SIN al fine di escludere le aree che per entità e caratteristiche di contaminazione e destinazione d’uso possono essere gestite in modo più efficace con procedure a livello locale. Sono stati già riperimetrati i SIN “Laguna di Grado e Marano” e “Porto Marghera” ed è stata avviata dalla regione Toscana la procedura per pervenire alla riperimetrazione dei siti di Massa e Carrara, Livorno e Piombino.
Analogamente, attraverso il concerto con le Regioni, andrà costruita una pianificazione coordinata per l’attuazione delle bonifiche nelle aree di pertinenza pubblica, cui si affiancherà una analoga iniziativa per l’accelerazione degli interventi di ripristino nelle aree inquinate di proprietà privata. Per questa ultima fattispecie, il punto di riferimento per la semplificazione procedurale è rappresentato dall’Accordo di Programma per la Bonifica di Marghera, che introduce significativi elementi di semplificazione procedurale, facilitando operazioni di investimento nelle aree oggetto di bonifica.
Traggo da questo lo spunto per dire che un coordinamento efficace e deciso tra Ministero e Regioni è indispensabile su un’altra grave criticità: l’inquinamento atmosferico che continua ad essere particolarmente grave nell’area Padana, alla luce della natura fortemente industrializzata di quei territori unita alla sproporzionata intensità della mobilità su gomma oltre che al mancato adeguamento di sistemi di emissioni da patrimonio edilizio privato e pubblico dall’impatto ancora pesantissimo.
La riduzione del rischio idrogeologico e la difesa del suolo costituiscono l’altra grande emergenza nazionale: 5581 comuni italiani ricadono in aree classificate a potenziale rischio idrogeologico più alto (dati ISPRA). Le conseguenze dell’esposizione al rischio sono misurabili in termini di perdite di vite umane, danni ambientali, sociali ed economici.
Gli effetti disastrosi di frane, smottamenti, esondazioni, sono spesso il risultato di una mancata manutenzione del suolo, oltre che di una carenza pianificatoria e finanziaria. Ma ancora più spesso sono il risultato di un uso del territorio dissennato, di un eccesso di artificializzazione che è ora urgente arrestare e possibilmente invertire.
È ovvio che su tale vulnerabilità pesano anche i mutamenti climatici su scala globale e che un attenta osservazione di quello che è accaduto in questi anni nel Mediterraneo e nel nostro Paese ci dice che sempre di più noi dovremo fare i conti rispetto al passato con periodi di siccità alternati a piogge di eccezionale intensità.
Anche su questo punto faccio mie le considerazioni rese al Parlamento dal mio predecessore, il Ministro Clini nel corso delle esposizione delle sue linee programmatiche, un anno e mezzo fa. Il Ministero dovrà necessariamente predisporre, di concerto con gli enti territoriali preposti (Autorità di Bacino, Distretti Idrografici, Regioni), un Fondo Nazionale per la difesa del suolo e la riduzione del rischio idrogeologico, individuando risorse proprie e la possibilità di concorrere con il contributo di altri soggetti ad ogni forma di compartecipazione per la riduzione del rischio. Occorre realizzare un progetto che gradualmente offra la possibilità della messa in sicurezza del territorio per prevenire gli effetti dei diversi rischi (come quello idraulico ed idrogeologico) e per azioni di contrasto ai cambiamenti climatici, attraverso un Piano organico e strutturale di breve e medio
termine per l’adattamento, semplificando la pletora di enti gestori, puntando sul coinvolgimento del territorio attraverso la realizzazione di opere diffuse, coinvolgendo le imprese agricole e forestali.
Il nostro Paese deve ancora attuare due direttive dell’UE strategiche ai fini della riorganizzazione delle competenze e delle azioni in materia di Acque e Alluvioni ( Dir.2000/60 e Dir.2007/60 ) che, congiuntamente, vanno proprio nella direzione prima indicata, di realizzare sinergie tra riqualificazione ecologica dei corsi d’acqua e riduzione del rischio idrogeologico. Il loro mancato recepimento produce un costo non solo in termini economici ma anche di credibilità rispetto agli altri Paesi per non parlare dei mancati aiuti che in caso di gravi calamità potremmo attivare.
Dobbiamo avere tutti consapevolezza, però, che gli interventi in difesa del suolo e per il riassetto idrogeologico richiedono una straordinaria quantità di risorse. Pertanto, è indispensabile l’accesso alle risorse comunitarie dei fondi strutturali per infrastrutture ambientali, ma anche e soprattutto l’utilizzo di strumenti avanzati per il finanziamento, anche mediante partership pubblico-private. È anche su questo terreno che si gioca la possibilità del nostro territorio di essere “adatto” e “attraente” per gli investimenti di sviluppo.
Ambiente e industria
In questi anni di recessione, all’acutizzarsi dei processi di deindustrializzazione, o nel bel mezzo delle crisi industriali, o proprio per l’esplosione di disastri ambientali enormi, abbiamo sperimentato drammaticamente, o si sono palesati in tutta la loro gravità, i conflitti attuali – ma che segnano l’arretratezza del modello di sviluppo del nostro Paese – tra ambiente e diverse realtà produttive, attive o abbandonate. Taranto, Bagnoli, il Sulcis, Porto Torres, Piombino, Trieste, sono le mappe principali (e per me tappe di un viaggio in qualche caso già compiuto) di una questione di una complessità enorme, ma che va affrontata con coraggio e responsabilità, perché ci mette di fronte ai nodi da sciogliere, alle scelte da compiere oggi, non domani, sulla questione a cui abbiamo accennato: quale modello di sviluppo e qualità della vita vuole darsi il nostro Paese.
Sull’emergenza ILVA di Taranto, che ha un sentiero tracciato da seguire, nel rispetto dell’operato della magistratura, senza consentire dilazioni pericolose per la salute e il lavoro, è accaduto qualcosa di veramente drammatico. La rappresentazione dolorosa, ma da rigettare, di un conflitto insanabile, che non ci può, non ci deve essere, tra salute e lavoro, tra cittadini che devono vivere un ambiente salubre e lavoratori della fabbrica. Una contrapposizione che non può esistere, e non solo per la banale ma assai pregnante osservazione che i lavoratori sono i primi cittadini di quell’area, i primi cioè che subiscono i danni dell’inquinamento: ma perché in un Paese moderno e civile nessuno deve essere messo di fronte a un conflitto del genere. Su questo dobbiamo tutti tenere in considerazione quanto autorevolmente stabilito dalla Corte Costituzionale sul caso ILVA( N85/2013). Allora, dunque, porsi la questione di assicurare un futuro dell’acciaieria, non risponde solo a un’emergenza sociale, ma soprattutto una scommessa a cui non si può rinunciare: l’avvio di quel processo – forse tardivo, ma ormai sancito – per la bonifica e la riqualificazione delle aree industriali, per l’ ambientalizzazione e l’innovazione degli impianti, al fine di rendere sostenibili, come altrove, anche le produzioni più pesanti, come l’acciaio.
Ci muoviamo lungo un sentiero molto stretto e tutti i soggetti interessati devono continuare a percorrerlo. Nessuno può pensare di stravolgere il quadro definito facendo pagare un ulteriore ed inaccettabile prezzo ai soggetti più deboli di questa vicenda. Nelle prossime ore acquisirò la relazione di dettaglio sulla attuazione dell’AIA, sui cui esiti riferirò tempestivamente al Parlamento.
Proprio a proposito di Sud e industria dobbiamo sempre di più entrare nell’ottica che l’ambiente può servire a colmare le distanze, a innescare una convergenza nello sviluppo che fin qui è mancata, a raggiungere standard qualitativi nelle attività produttive, anche in termini di capacità di riconversione industriale, che si avvicinino alle migliori pratiche ed esperienze del Nord Europa. Il Sud è stata l’area in cui si sono avuti i minori vantaggi del processo di industrializzazione del secolo scorso e al tempo stesso è stata l’area in cui si sono scaricati i costi ambientali più elevati dell’inquinamento dell’industria pesante e, per effetto di una peggiore gestione del territorio, le scorie di una industrializzazione a volte senza regole. La prospettiva della green economy, in particolare nei settori energetico e agro-ambientale, e la valorizzazione del patrimonio storicopaesaggistico delle regioni del Sud possono essere oggetto di una riconsiderazione attuale in chiave di integrazione tra dimensione locale e globale.
Un’amministrazione dell’Ambiente vicina ai cittadini e alle imprese
C’è una grande sfida, amministrativa e culturale, a cui voglio accennare. All’aumento della sensibilità ambientale dei cittadini non sempre l’amministrazione è stata in grado di rispondere adeguatamente.
C’è un’esigenza da parte dell’amministrazione dell’ambiente di una forte “sburocratizzazione”: e non per far venire meno trasparenza e capacità di controllo, ma semmai per aumentarle. Una sburocratizzazione che deve agire in due sensi: dal lato delle imprese, con una specificazione delle procedure; dal lato dei cittadini, specialmente della cittadinanza attiva, con un maggiore coinvolgimento democratico nelle scelte ambientali, che le sottragga ai rischi di un tecnicismo privo di visione.
La domanda di semplificazione che proviene da realtà diverse. Troppo spesso tale domanda si esemplifica in richieste di compressione dei diritti all’informazione ed alla partecipazione del pubblico che finiscono per essere controproducenti, provocando conflitti poi difficilmente gestibili. La modifica della governance, assicurando che le scelte strategiche siano partecipate e condivise sulle vocazioni territoriali, costituirà un formidabile riferimento per le valutazioni (VIA, VAS, IPPC ect.) prodomiche al rilascio delle autorizzazioni. Saranno così contenute discrezionalità, ed a volte arbitrarietà, che rendono il sistema autorizzativo inefficiente e lontano dal comune sentire dei cittadini e delle imprese.
Penso anche sia giunto il momento di studiare una qualche forma di semplificazione normativa. Forse è arrivato il momento di raccogliere nel Codice dell’Ambiente l’alluvionale legislazione in materia ambientale. Si potrebbe dare vita ad una Commissione di studio coordinata dal MATTM per arrivare ad un Testo Unico , quantomeno compilativo, della legislazione in materia.
Sul tema della partecipazione, poi, bisognerà davvero voltare pagina, perché il campo su cui la politica – specie su questioni sentite come quelle ambientali – può ricostruire un rapporto di fiducia coi cittadini che è stato perduto. Non ci si può più stupire se tutte le volte che in Italia ci si proponga di fare una infrastruttura importante, penso ai termovalorizzatori, ai rigassificatori, agli impianti eolici, emergano critiche, perplessità e nascano dei veri e propri comitati tesi ad impedire la realizzazione di quella infrastruttura. Non si possono liquidare esclusivamente tali manifestazioni come “ambientalismo dei no” sommato al “localismo dei no”.
Ecco, diciamoci la verità, non basta più la tradizionale concertazione con gli Enti Locali o lo scambio sotterraneo e implicito proposto alle popolazioni locali: più buste paghe in cambio di un peggioramento, spesso definitivo, della qualità ambientale di un territorio. Va rafforzata, sin dalle prime fasi della progettazione di un’opera, l’informazione e la partecipazione dei cittadini. E bisogna arrivare ad una vera e propria normativa sulla partecipazione dei cittadini quando si fanno opere profondamente impattanti sulla qualità ambientale di un territorio. Non mancano esempi virtuosi in altri paesi, penso al all’introduzione di una procedura di débat public come è accaduto in Francia. Altri modelli si possono studiare, in ogni caso non possiamo più percorrere le strade del passato e non abbiamo alternative alla democratizzazione delle scelte e alla partecipazione dei cittadini al processo decisionale, soprattutto in materia ambientale.
Conclusioni
Signor Presidente, Onorevoli Colleghi. Credo di aver provato, fin qui, a esprimere alcune prime linee strategiche e programmatiche – di merito, ma anche, non meno rilevanti per me, di metodo –per un percorso di lavoro che vedrà il coinvolgimento costante del Parlamento, e specialmente di questa Commissione.
Il tema dell’ambiente per quella sua capacità di essere un terreno di scelte fondamentali, che si pongono su un livello molto al di sopra della contesa politica tra le parti, può essere uno dei pilastri per il passaggio a una Terza Repubblica, che superi le inadeguatezze e le inconcludenze della Seconda.Ora, la tutela e la valorizzazione dell’Ambiente, il percorso di riconversione verso uno sviluppo sostenibile, l’alta qualità della vita come obiettivo primario della politica, sono proprio le sfide del futuro della nostra Repubblica. E su cui l’Italia delle bellezze, anche naturali e paesistiche, l’Italia del viver bene, deve vincere sull’Italia arretrata delle brutture e delle ingiustizie sociali.”

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